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2 novembre - 2 commenti - SANTI E PECCATORI SI TENGONO PER MANO

Data: 31-10-2025, in Commenti al Vangelo

2 novembre - commemorazione di tutti i defunti - fra Ermes Ronchi

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà (...) separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”(...). Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”(...). “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna». Mt 25, 31-46

LE BILANCE DI DIO

Le bilance di Dio non sono tarate sul male, ma sulla bontà; non pesano tutta la nostra vita, ma solo la parte buona. E così anch’io mi prenderò cura di un fratello, lo terrò al sicuro al riparo del mio cuore.

Una scena potente, drammatica, detta del “giudizio universale”, ma che in realtà è lo svelamento della verità sulla vita, su ciò che rimane quando non rimane più niente: l’amore.

Il vangelo mette in scena una domanda antica quanto l’uomo: cosa hai fatto di tuo fratello? La Parola di Gesù offre in risposta sei opere ordinarie, poi apre una feritoia straordinaria: ciò che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me! Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini, da giungere a identificarsi con loro: l’avete fatto a me! Il povero è come Dio, è corpo e carne di Dio. Il cielo dove il Padre abita sono i suoi figli.

E capisco che a Dio manca qualcosa: all’amore manca di essere amato. È lì nell’ultimo della fila, mendicante di pane, di casa, di affetto: i suoi piccoli li vuole tutti dissetati, saziati, vestiti, guariti, consolati. E finché uno solo sarà sofferente, lo sarà anche lui.

Davanti a questo Dio resto incantato, con lui mi sento al sicuro. E così farò anch’io, mi prenderò cura di un fratello, lo terrò al sicuro al riparo del mio cuore.

Mi è d’immenso conforto sentire che l’argomento ultimo e decisivo non sarà il male che abbiamo commesso, ma il bene; lo sguardo del Signore non si posa su peccati, debolezze o difetti, ma sui gesti buoni, sulle briciole di gentilezza, sui bicchieri d’acqua donati.

Le bilance di Dio non sono tarate sul male, ma sulla bontà; non pesano tutta la nostra vita, ma solo la parte buona della nostra storia.

In principio e nel profondo, alla fine di tutto non è il male che revoca il bene che hai fatto, è invece il bene che revoca, annulla, sovrasta il male della tua vita. Sulle bilance del Signore una spiga di buon grano pesa più di tutta la zizzania del campo.

Gesù mostra così che il “giudizio” è divinamente truccato, è chiaramente parziale, perché sono ammesse sole le prove a discarico. Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore (Giovanni della Croce), non su colpe o pratiche religiose, ma sul laico, umanissimo addossarci il dolore dell’uomo.

La via cristiana non si riduce però a compiere delle buone azioni, deve restare scandalosa, deve stagliarsi sull’orizzonte della storia, andare controcorrente, essere provocatoria nel riaffermare che il povero è il cielo di Dio! Di un Dio innamorato che canta per ogni figlio il canto esultante di Adamo per la sua donna: “Veramente tu sei carne della mia carne, respiro del mio respiro, corpo del mio corpo”.

Poi ci sono anche quelli mandati via. La loro colpa? Hanno scelto la lontananza: lontano da me, voi che siete stati lontani dai fratelli. Non hanno fatto del male ai poveri, non li hanno umiliati o derisi, semplicemente non hanno fatto niente per loro. Omissione di fraternità. Indifferenza. Distanza. Glaciazione delle relazioni.

Al contrario il vangelo traccia la strada buona: tu ti prenderai cura! Metterai cuore e mani sulla fame e sulla sete, sul dolore e sul naufragio di qualcuno. Senza, non c’è paradiso.

LA STRANA COPPIA

Luca 6, 20-26

Un bellissimo vangelo che ci dà la scossa. Potente e incomprensibile.

Le beatitudini raccontano Dio che scommette su coloro i quali la storia mai scommetterebbe: i piccoli, gli affamati, i piangenti, i rifiutati. In coppia con Gesù che nella sinagoga di Nazaret rivela la lieta notizia a poveri, oppressi, ciechi, prigionieri.

Beati voi poveri. Beati voi che piangete.

Due beatitudini paradossali, che accostano parole che scendono come una spada, come rovente linea di fuoco nel mio doppio cuore.

Nella sinagoga aveva detto “Sono venuto a portare il lieto annuncio ai poveri”. Ed eccolo qui, il miracolo: beati voi poveri, Il luogo della felicità è Dio, ma il luogo di Dio è la croce, le infinite croci degli uomini. La povertà è una croce non benedetta, i crampi allo stomaco di chi ha fame non devono durare per sempre, ma Dio si prende cura.

Beati i poveri, che non avendo cose, sono liberi di non aver nulla da perdere, e donano se stessi. Beati, perché è con voi che Dio cambierà la storia, e non con i potenti!

Cosa mi aspettavo da questo vangelo? Beati voi poveri perché adesso è il vostro turno di arricchire?

Non promette questo Gesù. Il suo progetto è più profondo. C’è di mezzo il cielo, vostro è il regno dei cieli, che non è il paradiso. Significa che il mondo giusto è quello vostro, e non quello dei ricchi.

Per la bibbia la ricchezza è benedetta, e la povertà una sciagura. Ma è vero anche che la povertà è colpa dei ricchi, che hanno accumulato e non hanno condiviso.

Beati voi poveri, perché Dio cammina con voi. Voi miei discepoli, che avete abbandonato le barche per me, non abbiate paura, perché Dio si prende cura di voi.

Beati gli affamati, perché sarete sfamati? No, di più: sarete saziati della pienezza del pane moltiplicato.

Beati voi chi piangete, perché smetterete di piangere? No, di più, perché voi passerete al riso.

Beati quando vi odieranno perché siete un pugno nello stomaco del mondo, perché la vostra libertà fa paura. Ricompensa grande avrete nel cielo: e non parla del paradiso, ma del fatto che Dio sta dalla parte vostra.

Ma guai a voi, ricchi.

Mi sembra di vedere Gesù girarsi lentamente verso di loro. Ma Dio non maledice, la sua è la tristezza del padre in ansia.

Eccoli i tremendi quattro guai di Luca.

Guai, “uaì” in greco, traslitterazione di “ohi” ebraico, è il grido dei lamenti funebri, il singhiozzo del pianto su chi è morto.

I quattro guai sono il lamento ripetuto da Gesù, il suo pianto, li piange come morti.

Ahi ricchi, siete la causa della povertà, c’è da piangere per la vostra fame d’oro, siete morti dentro.

Gesù piange sui ricchi, non sui signori. Da loro andava a cena. Il signore dona, condivide, il ricco trattiene e accumula.

Così i possidenti diventano dei posseduti dai loro stessi possessi.

Il vangelo più alternativo e, al tempo stesso, amico.

Beati quelli che non vedono la vita in funzione del loro io,

ma il loro io in funzione della vita.

Hanno in dono la vita indistruttibile, quella di Dio che vive in loro.