Buongiorno, sono Miriam Gagliardi,
faccio parte di Salaam Ragazzi dell’Olivo di Vicenza che dal 1987 è al fianco del popolo di Palestina. Innanzitutto, voglio ringraziare la comunità dei Servi di Maria di questo luogo particolare, per l’ospitalità, e tutte le persone che con il loro lavoro hanno permesso la realizzazione di questa mostra.
TATREEZ ne è il titolo in arabo significa “abbellimento”ma più in generale il termine tatreez indica una forma di ricamo palestinese, prevalentemente a punto croce anche se non esclusivamente. In mostra sono infatti esposti 15 abiti palestinesi ricamati a punto croce: non sembri banale o minimalista questa scelta perché ciò che si potrà vedere non è solo il frutto del lavoro paziente e prezioso di tantissime donne ma è il mezzo per esprimere identità, storia, patrimonio culturale; ogni disegno ricamato è una storia precisa.
I colori, brillanti e spesso ricavati da sostanze naturali abbinati con sapiente armonia, i soggetti stilizzati narrano di villaggi ricchi di piante e animali ed indicano, in base al colore, la zona di provenienza della Palestina. Il ricamo è applicato agli abiti tradizionali indossati dalle donne e raccontano la loro appartenenza sociale e il loro stato civile. Ci sono abiti, quindi, che sono indossati dalle vedove, dalle donne nubili, dalle donne che vanno spose.
Il TATREEZ, antico di 3000 anni, è tramandato di madre in figlia, è diffuso nella Palestina ma anche tra i discendenti degli 800mila Palestinesi costretti all’esilio dopo il 1948, data che segna la nascita dello stato di Israele ma anche anno della Nakba, Catastrofe, per i Palestinesi. Il ricamo è dunque un simbolo della cultura palestinese, un modo di riaffermare le proprie radici, la propria storia, la propria identità.
Nella Palestina odierna nella quale si sta attuando con precisione scientifica e sotto gli occhi del mondo il genocidio del popolo palestinese, non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania anche a Gerusalemme est, il TATREEZ è diventato un potente strumento di resistenza, di lotta per la conservazione della cultura e per la sopravvivenza.
A ribadire quanto sopra, l’Unesco, nel dicembre 2021, ha dichiarato il TATREEZ patrimonio culturale immateriale e intellettuale dell’umanità, salvaguardandone la specificità palestinese anche dai tentativi di appropriazione da parte di Israele.
Pensando a quanto succede a Gaza, mi permetto di suggerire di entrare alla mostra in punta di piedi perchè non è una mostra qualsiasi. Osservare quei manufatti è anche ricordare le decine di migliaia di civili uccisi -18mila i bambini- partecipando al lutto di un intero popolo; osservare quei manufatti è acquisire consapevolezza che quello che possiamo vedere è archeologia di una terra che in parte è già stata cancellata. A Gaza le distruzioni sono indicibili: le case, le chiese, le moschee, gli ospedali, le scuole, le università, i musei, i siti archeologici, gli impianti per il trattamento delle acque, ma anche la terra con i suoi frutti, i suoi fiori, i suoi animali, soggetti che possiamo ormai solo vedere in quegli abiti. E quali frutti quali fiori, quali vite potranno crescere da una terra martoriata e satura dalle tonnellate di veleno dovute ai bombardamenti?
E se la distruzione e la deportazione e il genocidio continueranno e si completeranno, con la Palestina morirà anche la nostra umanità, moriranno i “nostri” tanto decantati valori occidentali, religiosi e laici, che non hanno impedito che il MAI PIU’ pronunciato alla fine della seconda guerra mondiale tornasse a succedere.
Ecco “vedere” TATREEZ, visitare questa mostra, guardare questi abiti non è solo visitare una mostra, ma partecipare ad una tragedia, esprimendo solidarietà e sostegno ad un popolo che non si rassegna ad essere cancellato dalle mappe e dalla storia.