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P. Ermes: "Incontrare Cristo è stato l’affare migliore della mia vita"

Data: 23-08-2023, in Notizie

I 50 anni di sacerdozio di fra Ermes Ronchi

Ognuno di noi ha una stella cometa che gli indica dove trovare Dio e quale è il suo volto.

P. Ermes trovò la sua stella a Udine, nel 1965, quando era ancora giovanissimo. Si trovava in una classe di liceali che si preparavano a diventare frati dei servi di Maria.

Un corso di esercizi spirituali tenuto da p. Giovanni Vannucci, una delle più profonde figure spirituali della nostra contemporaneità, gli illuminò la strada.

Le sue parole mantengono ancora oggi tutta la loro verdeggiante freschezza:

“Dio ci invita a nozze.

La nostra vocazione è un invito al raggiungimento di una pienezza di gioia.

Bisogna sempre scorgere il bene, gli aspetti positivi delle cose.

In ogni uomo c’è la luce.

Guardiamo il mondo, perché in esso è sceso Cristo.

Quando la nostra anima è diventata positiva è capace di una cosa sola: di amare!”

Caro p. Ermes, ti ringraziamo per essere sempre stato fedele alle parole del tuo maestro, per essere diventato anche tu stella cometa.

Grazie, perché ci racconti la vita come un mistero gaudioso e ci trasmetti la fede in Dio come pienezza di gioia.

I tuoi amici di tanti cammini nell’incanto della natura e sulle orme del Dio vivente.

Omelia di Ermes Ronchi durante la celebrazione di domenica 20 agosto 2023, alla quale è seguito il festeggiamento per i 50 anni di sacerdozio.

Il vangelo, prima e sopra di tutto. Io comincio e ricomincio da lì.

Un magnifico vangelo dove una donna pagana mette in riga il Messia, l’illuminato.

Una donna giovane, con una figlia giovane. Non ci sono maschi, padri o mariti, nel racconto della famiglia, la cellula elementare che fa procedere la vita è questa: la linea madre-figlio. E il parto come uno scoppio di vita e di dolore, per sempre.

Femmine un giorno e poi madri per sempre, canta Fabrizio de Andrè.

Noi uomini un po’ ai margini, a imparare.

A questo gruppo vincitore, salvatore dell’umano, di madri-per-sempre appartiene la donna anonima di Tiro. Che tiene testa al rabbi straniero, dalle parole brucianti, che è arrivato preceduto dalla sua fama.

Una donna pagana “converte” Gesù, lo fa passare da semplice rabbino di Israele a pastore di tutto il dolore del mondo. Nessuno, neppure Gesù, esce indenne dall’incontro con il fuoco. E qui il fuoco risiede nella meravigliosa arroganza di un amore di madre. “Una scheggia di Dio infuocata è l’amore” (Cantico), una bruciatura divina, una scottatura, che libera Gesù dai residui del clericalismo.

Per favore liberate i preti dal loro clericalismo..

La madre di Tiro chiede “Fai una briciola di miracolo anche per noi, i cagnolini della terra”. Anche per me il Signore ha fatto briciole di miracolo. E quante volte.

Possiamo tutti ricordare di avere trovato nella vita bocconi di pane, quando pensavamo di non farcela più. È passato qualcuno sui nostri sentieri, ha lasciato cadere dietro di sé briciole di vita, di luce, bontà, bellezza.... Forse era un amico, forse un angelo, o un amore, o un familiare. Oppure un maestro. Oggi sento il bisogno di ringraziare i miei maestri: p. Vannucci, sorella Maria di Campello, p. Turoldo, Davide Montagna, i veri maestri non sono quelli che danno ulteriori regole, ma quelli che regalano nuovi orizzonti.

Da loro non ho ricevuto regole di navigazione nel mare della vita, ma la passione per navigare avanti.

I veri maestri non fissano ulteriori paletti, ma danno ulteriori ali...le rafforzano, allungano, pettinano, perché siano potenti, per andare più veloci e più lontano. A rincorrere i nostri sogni. Avevo le ali, ho rincorso i sogni.

Che avevano nome: comunità, vangelo vivo, poveri, Dio, poesia.

Sono passati 50 anni. E siamo ancora qui. Anche i sogni sono ancora gli stessi, sono quelli che non mentono, Vale ciò che dura, dura ciò che vale.

Perché sono ancora prete, perché vado dietro a Lui, al Nazareno, a 76 anni, e non mi sono stancato, o arreso? Perché ho avuto la vita comoda o facile, perché è andato tutto liscio? No, ma perché ho avuto le mie tempeste e non sono scappato; ho preso in faccia il vento, ho guardato dritto negli occhi le mie paure, e le mie debolezze;  ho molto sbagliato, e quando mi pareva di affondare, ho gridato, come Pietro che affonda nelle acque del lago in burrasca, ho allungato la mano.

E le mie ferite, le ferite che mi sono anche inferto da solo, Dio le ha attraversate con una carezza. E mi ha detto: ci sono qua io, non temere. Quante volte siamo stati tirati fuori, da un principio di affogamento, dalle acque di un fallimento, dello scoraggiamento.

Perché sono ancora qui?  Perché incontrare Cristo è stato l’affare migliore della mia vita, in lui sono tutte le mie sorgenti: la mia vita è stata bellissima, ho trovato le sorgenti del grande fiume, e posso solo ringraziare.

         Consentitemi infine una confidenza. In mia difesa! A Parigi ho incontrato un altro maestro d’ali: il gesuita Michel de Certeau. Storico, antropologo, esperto di mistica, scrittore di libri che hanno fatto epoca, intelligenza abissale, con cui ho seguito corsi e seminari all’università Paris IX. Quando l’hanno chiamato a insegnare a Los Angeles, mi ha salutato così: tu devi fare teologia poetica. La tua missione nella Chiesa è di fare teologia con il linguaggio della poesia.

Mi sono fidato. Gli ho creduto, ho ubbidito alla Parola e alla Bellezza. Mi ha confermato nella passione di navigare per il mare infinito della Parola, meditata, scritta, annunciata.

Mi sento servo, ministro al servizio della Parola: è la passione, è il richiamo, la fonte, la roccia, il nido della mia vita. Annunciare la Parola, scrivere della Parola, tradurla nel linguaggio di oggi e nella bellezza, sono le pietre miliari del mio cammino quotidiano.

Pensate che bello se invece del voto di obbedienza ci avessero fatto fare voto di navigazione, di libertà.

Quanto più forte e bella e luminosa la chiesa, se ci avessero fatto fare voto di vastità non solo di castità. Di avere il cuore vasto, grande, spazioso, ampio, dove ci sia posto per Dio, i fratelli, madre terra. il grido dei poveri.

Mi chiedono: cosa ricordi di più di questi 50 anni?

Non sono calici e messali, liturgie a migliaia, ma sono volti a migliaia, una moltiplicazione di volti. Una folla, come i 5000 dei racconti di moltiplicazione di pani e pesci. Li ho avuti e li ho amati, i miei 5000, li ho patiti e anche goduti. Erano vangelo fra le mani!

Voi farete cose ancora più grandi, ha detto Gesù, a tutti noi. Io ho sfamato 5000, voi ne sfamerete 10.000. Ho predicato per 3 anni su una striscia di terra di 70 km per 30. Voi avete davanti il mondo, per decine d’anni.

         Ricordo liturgie bellissime: ho celebrato messa al sorgere del sole sulle dune del Deserto dei Gobi in Mongolia, in una baracca in Amazzonia, su di un barcone turco nel cuore dell’Egeo tra Patmos e Smirne; bello, ma mai quanto la liturgia santa di volti, di abbracci, di occhi, quando ridevano, quando piangevano, quando ti sembrava di farvi naufragio dentro, o ti inchiodavano con domande cui non potevi rispondere.

La cosa più bella del mondo? La gente. Le persone! Sono loro i gioielli più preziosi del tesoro di Dio.

La mia lettera siete voi, scrive Paolo ai Corinzi (2Cor 3,2-3)

Non sono le decine di libri che ho scritto; il mio libro siete voi.

Non sono le centinaia di discorsi fatti a giro, il mio discorso siete voi.

La mia lettera siete voi, lettera di Cristo indirizzata a me, scritta per me non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente; non su tavole di pietra, ma su tavole di carne di cuori umani.

Ho letto parole di Dio nelle storie di tanti di voi che siete qui. Ho ascoltato da voi le parole che fanno vivere.

E di questo ringrazio innanzitutto la mia comunità che mi supporta, e si prende cura di me, e alimenta e risveglia le sorgenti.

Ringrazio gli amici e le amiche che mi hanno voluto bene, per la gioia e l’amore regalati: prima benedizione di Dio.

Ringrazio quelli che mi hanno evangelizzato, come Gesù a Tiro e Sidone, mi hanno raddrizzato, inchiodato alle mie responsabilità.

Gli amici e le amiche della Casa dei Sentieri, miei maestri di cammino e di cura per madre Terra, il gruppo Talita Kum, miei maestri d’ali. Prima a Milano e poi qui.

La mia lettera siete voi, lettera di Dio scritta con l’inchiostro delle lacrime. Indelebile come l’amore.  La mia bibbia siete voi. In cui ho visto le lacrime diventare arcobaleni!

Siete la benedizione che Dio ha fatto scendere per me

Adesso infine prego il Signore che faccia scendere da questo cielo senza nuvole, un po’ di grandezza di cuore, un po’ d’azzurro, su di me, su di noi, l’azzurro che non mente, l’azzurro di cielo che non imbroglia, faccia scendere libertà e vastità nella mente, nel cuore, nell’anima

Una benedizione sul nostro male di vivere, sulle tenerezze negate, sulle solitudini patite, sulle nuvole oscure, sul nostro piccolo o grande drago rosso che non vincerà, come ci racconta l’Apocalisse.

Perché la bellezza è più forte della violenza

La tenerezza di Dio è più forte della violenza del drago e della storia.

Signore, ti dico per il passato: grazie, per il futuro: sì. Come tu vorrai. Solo fammi essere questo: amico del mondo, amico della vita, amico del genere umano. Amante della tua Parola.

Vuoi andartene? Come Pietro anch’io ti dico: “ma Signore, ma da chi vuoi che vada? Tu solo hai parole che fanno viva, finalmente, la vita”.

Un piccolo aneddoto: 50 anni fa, anzi 53 anni fa, mio padre piantava una vigna. Voleva che producesse il vino nuovo per la mia prima messa. Mio fratello ha continuato a coltivare quella vigna e il vino di questa messa oggi, a Santa Maria, è ancora il vino di quelle viti piantate da mio padre 53 anni fa. Di questa messa, e anche di una messa con il papa e i cardinali, e di tutte le messe della nostra comunità. Perché è buono! Quindi: grassie pari, grassie fradi!