Domenica 26 marzo - V di Quaresima - fra Ermes Ronchi
In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato» Giovanni 11, 1-45
Commento per i social
UNA GOCCIA PER VEDERE
Nel giorno delle lacrime, Dio sembra essere lontano. Il suo ritardo pesa. Eppure siamo noi il cielo di Dio. Lui è qui non come esenzione, ma come riscatto dentro la morte.
Quel giorno, a Betania, Gesù si rivela più umano che mai. Lo vediamo fremere, piangere, gridare. Piange l’amico Lazzaro, piange un vuoto, duro come la pietra che chiude il sepolcro.
Lacrime ribelli le sue, stupenda arroganza di chi non accetta la morte. Amore arrogante fino al grido: vieni fuori!
Quando ama, l'uomo compie gesti divini; quando ama, Dio lo fa con gesti molto umani. Le lacrime d’amore sono una potente lente d'ingrandimento sulla vita: ci guardi dentro e leggi ciò che sui libri non troverai mai.
Ciascuno di noi è Lazzaro, e il pianto di Dio è la nostra salvezza.
Lì attorno, i suoi amori. Maria è la donna dei piedi e degli abbracci. Marta, delle manie delle parole che, con la confidenza propria dell’amicizia, vanno dritte al cuore di Gesù: se tu fossi stato qui egli non sarebbe morto.
E Gesù va diritto al cuore delle cose: tuo fratello risorgerà. Marta ribatte: lo so! Ma quel giorno è così lontano dal mio desiderio e dal mio dolore.
Marta parla al futuro, Gesù, al presente. E incide parole che per il vangelo saranno di fuoco: io sono la risurrezione e la vita.
La ribellione di Gesù scardina la morte scendendo i suoi tre gradini:
1. Togliete la pietra. Via i macigni dal cuore, le macerie sotto cui vi seppellite da soli; via i sensi di colpa, il non saper perdonare noi e gli altri; via il male ricevuto, che vi inchioda ai vostri ergastoli interiori.
2. Lazzaro, vieni: fuori c’è il sole! Esci dalla grotta nera dei rimpianti e delle delusioni, dal sentirti il centro delle cose. Vieni fuori, ripete alla farfalla che è in me, chiusa dentro il bruco che temo di essere.
3. Lasciatelo andare! Scioglietevi tutti dall'idea che la morte sia la fine di tutto. E poi dategli una strada e amici con cui camminare, qualche lacrima, e una stella polare.
Una pietra si è mossa, è penetrata una fessura di primavera. Un grido d'amico ha scosso il silenzio, e lacrime hanno bagnato le bende. Tutto ciò è accaduto per palesi e pubbliche ragioni d'amore.
Invidio Lazzaro, e non perché esce vivo dalla grotta, ma perché circondato da una folla che gli vuole bene, segno di una vita riuscita. La sua fortuna è l'amicizia, la sua santità è l’affetto che lo assedia.
E Lazzaro esce avvolto della suprema speranza: qualcosa, qualcuno è più forte della morte.
Ma nel giorno delle lacrime, Dio sembra essere lontano. Il suo ritardo pesa.
Quattro giorni pesò su Marta e Maria. Eppure siamo noi il cielo di Dio. Lui è qui non come esenzione, ma come riscatto dentro la morte. Io lo credo, con la fede dell'anonimo che scriveva: credo nel sole, anche se non splende; e nell'amico anche se non lo sento; e in Dio, anche quando tace.
A risorgere siamo chiamati noi vivi, più che i morti: a svegliarci da tutte le vite immobili, spente e inutili. A fare viva la vita, sulla scia dell’amore dato e ricevuto.