domenica 5 febbraio - p. Ermes Ronchi
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro» (...) Matteo 5,13-16
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VITA DISCIOLTA
Essere sale e luce nel mondo vuol dire che dalla buona riuscita della mia avventura, umana e spirituale, dipende la qualità del resto del mondo.
Voi nel mondo siete luce e sale. Sale per conservare le cose, minima e umile eternità disciolta. Luce per accarezzare, a risvegliare colori e bellezza dentro la notte del mondo.
Gesù non dice «voi siete il miele della terra», con generico buonismo, ma il sale, che è forza e istinto di vita che penetra le scelte, che si oppone al degrado delle cose e rilancia ciò che merita futuro. E lo annuncia alla mia anima bambina, a quella parte di me che sa ancora incantarsi.
La faccenda è seria, perché essere sale e luce del mondo vuol dire che dalla buona riuscita della mia avventura, umana e spirituale, dipende la qualità del resto del mondo.
Come fare per vivere questa comune responsabilità, così seria e impegnativa? Come mettere la lampada sul candelabro? Isaia suggerisce meno parole e più gesti: «Spezza il tuo pane», verbo asciutto, concreto, fattivo. E poi è un incalzare di gesti: «accogli in casa, vesti il nudo, non distogliere gli occhi. Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà in fretta».
E senti l'impazienza di Dio e dell'aurora che sorge, della fame che grida; senti l'urgenza dell'uomo sofferente che ha fretta di pane e di salute. La luce viene attraverso il mio pane quando diventa pane nostro, condiviso, e non possesso geloso.
Ma se il sale perde sapore, se la luce è messa sotto al tavolo, a che cosa servono? A nulla. Così noi, se perdiamo il vangelo, se smussiamo la Parola e la riduciamo a uno zuccherino, se abbiamo occhi senza luce e parole senza bruciore di sale, allora corriamo il rischio mortale dell'insignificanza, di non significare più nulla per nessuno.
Io sono luce spenta quando non evidenzio bellezza e bontà negli altri, ma mi inebrio dei loro difetti: allora sto spegnendo la fiamma delle cose, sono un cembalo che tintinna (parola di Paolo), un trombone di latta.
Ma “chi vive secondo il vangelo è una manciata di luce in faccia al mondo” (Gigi Verdi). Tu puoi compiere opere di luce! E sono quelle semplici dei miti, dei puri, dei giusti, dei poveri, le opere alternative alle scelte del mondo, la differenza evangelica offerta alla fioritura della vita. Quando tu segui come unica regola l'amore, allora sei Luce e Sale per chi ti incontra. Quando due sulla terra si amano diventano luce nel buio, lampada ai passi di molti. In ogni luogo dove ci si vuol bene viene sparso il sale che dà sapore buono alla vita.
La luce non illumina se stessa, il sale non serve a se stesso. Così ogni credente deve ripetersi: a partire da me, ma non per me. Perché una religione che serva solo a salvarsi l'anima non è quella del Vangelo. La luce non è un dovere, ma il frutto naturale in chi ha respirato Dio.
L'umiltà della luce e del sale, il perdersi dentro le cose. Mi inebria questo perdersi dentro la vita, ci sto bene. La sento casa.