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Affrettiamoci ad amare

Data: 06-10-2022, in Commenti al Vangelo

Domenica 9 ottobre - p. Ermes

(...) Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. (...)Luca 17,11-19

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AFFRETTIAMOCI AD AMARE

I nove che non tornano dicono che la fede è la li­bera risposta dell'uomo al cor­teggiamento di Dio, che ama a prescindere.

Dieci lebbrosi «fermi a distanza»; mani lontane, cui non è più lecito neppure accarezzare un figlio. Solo occhi, solo voce: “Gesù, abbi pietà!” E appena lui li vede, subito, perché troppo a lungo hanno sofferto malattia e umiliazioni, li manda dai sacerdoti.

Davanti al dolore a Gesù scatta un'urgenza, un’ansia di bene: non devono soffrire neanche un secondo di più. E mi ricorda un verso bellissimo di Ian Twardowski: affrettiamoci ad amare, le persone se ne vanno così presto! L'amore vero ha sempre fretta.

“Andate, siete già guariti, anche se ancora non lo sapete. Il futuro è entrato in voi con il primo passo, come un seme, come una profezia”.

E mentre andavano furono guariti.

Partono per un viaggio che era loro vietato: la lebbra è ancora evidente, ma più evidente è la speranza, più forte di piaghe e di paure.

Si mettono in cammino tutti e dieci, tutti hanno fede nella parola di Gesù, partono e il vento sulla pelle è già guarigione, la strada, già una promessa.

Ma uno solo passa da semplice guarito a salvato, l'unico che ritorna, cui Gesù dice: «la tua fede ti ha salvato». Il Vangelo è pieno di guariti, un corteo gioioso che accompagna l'annuncio di Gesù. Eppure quanti di questi guariti sono anche salvati? A quanti il rifiorire della carne fa fiorire relazioni nuove con Dio, con gli uomini, con se stessi?

Ancora una volta il Vangelo propone un samaritano, uno straniero, un eretico come modello di fede, fede che salva. 

Dell'unico guarito che torna non è tanto importante il gesto, a Dio non interessa il nostro grazie; il lebbroso di Samaria non è salvo perché paga il pedaggio della gratitudine, ma perché entra in comunione. La sua pienezza consiste nell’entrare in contatto stretto con il Donatore, che gli dona se stesso. Nulla di meno, vita nella vita.

Ai nove che non tornano è invece sufficiente la guarigione. Non tornano, forse perché smarriti nel vortice della felicità, negli abbracci ritrovati. E Dio prova gioia per la loro legittima gioia, come prima aveva provato dolore per il loro dolore. Non tornano forse perché sentono la salute come qualcosa di dovuto, non come un dono; come un diritto, non come un miracolo quotidiano.

Non tornano perché ubbidiscono a Ge­sù: andate dai sacerdoti. Ma Gesù non voleva essere obbe­dito, perché alle volte l'obbedienza formale è un tradimento più profondo. «Talvolta bisogna andare contro la legge, per es­serle fedeli in profondità» (Bonhoeffer).

I nove che non tornano dicono che la fede è la li­bera risposta dell'uomo al cor­teggiamento di Dio, che ama a prescindere.

Domattina farò anch’io come quello straniero, tornerò a Dio con tutto il mio cuore, senza formule vane. Gli donerò solo una parola di lode, un grazie dal profondo. E lo stesso farò con quelli di casa. In silenzio, ma con il sorriso dentro di me.

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