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Data: 07-04-2022, in Commenti al Vangelo

Domenica delle Palme - 10 aprile - p. Ermes Ronchi

Quando venne l'ora, [Gesù] prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finchè essa non si compia nel regno di Dio». (...)Luca 22,14-23,56

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MANTELLI SULLA STRADA

In questi giorni santi e martoriati, in attesa di qualcosa che rompa gli schemi dell’odio, si concentra tutta la fede dei cristiani, dove amore e dolore si annodano, si intrecciano per sempre.

Inizia con la Domenica delle Palme la settimana suprema della storia e della fede. In questi giorni santi e martoriati, in attesa di qualcosa che rompa gli schemi dell’odio, si concentra tutto ciò che riguarda la fede dei cristiani, dove amore e dolore si annodano, si intrecciano per sempre.

Per questo, dalle Palme a Pasqua, il tempo profondo, quello del respiro dell'anima, cambia ritmo: la liturgia prende un altro passo e rallenta, moltiplica i momenti che accompagnano quasi ora per ora, gli ultimi giorni di vita di Gesù, dall'entrata di un corteo osannante in Gerusalemme, fino a una trinità di donne, erranti attorno al sepolcro, quando anche la pietra si anima, vestendosi di vita.

Sono i giorni supremi della storia, i giorni del nostro destino.

E mentre i credenti di ogni fede chiamano Dio nel tempo della loro sofferenza, noi, i cristiani, andiamo a Lui nei giorni della sua sofferenza. «L'essenza del cristianesimo è la contemplazione del volto del Dio crocifisso» (Carlo Maria Martini).

Stargli accanto come in quel venerdì, contemplarlo come le donne, occhi lucenti d’amore e lacrime, ci basta; sfiorare le infinite croci del mondo dove Cristo è crocifisso nei suoi fratelli, nella sua carne innumerevole, straziata e santa.

Come sul Calvario, Dio non ci salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza; unica consolazione in questi giorni cupi, in questi tempi senza dignità in cui lo vediamo pendere nudo e disonorato, con le mani legate, affiorare a pezzi dalle fosse comuni, custodito da donne senza nemmeno un sepolcro su cui piangere.

Come Isaia dobbiamo distogliere lo sguardo.

Poi torniamo a guardare la croce con gli occhi della fede, ed ecco lui a braccia spalancate gridarmi: ti amo. Proprio a me? Sanguina e grida, o forse sussurra appena. 

Perché Cristo è morto così? Non è stato Dio il mandante di quell'omicidio. Non è stato lui a chiedere che fosse sacrificato Gesù, l'innocente, al posto di noi colpevoli, per soddisfare il suo bisogno di giustizia. «Io non bevo il sangue degli agnelli, io non mangio la carne dei tori», quante volte l'ha gridato nei profeti!  Come oro passato al setaccio, come grano cercato per essere vagliato, in questi giorni lenti, facciamo nostra fino in fondo questa speranza silenziosa, questa fede salda che afferma davvero la giustizia di Dio non è dare a ciascuno il suo, ma dare a ciascuno se stesso; dare per la mia tutta la sua vita. 

Gesù entra nella morte, come è entrato nella carne: per amore, per essere con noi, all'estremo, perché nella morte entra ogni figlio dell'uomo. Ecco allora che Incarnazione e Passione si abbracciano, per l’eternità. E attraversano la morte, raccogliendoci tutti dalle lontananze più perdute, tirandoci fuori, trascinandoci in alto, noi e l’universo intero, dentro la corrente ascensionale della sua pasqua.

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