IV di Quaresima - 27 marzo - p. Ermes Ronchi
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto (...)» Luca 15, 1-3.11-32
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RITORNO A TE STESSO
Se ne va il giovane, in cerca di felicità. Con la sua parte di eredità, di identità, di vita che crede di trovare nelle cose. Quante volte i ribelli sono solo dei richiedenti amore.
Io voglio bene al figlio prodigo, perchè è storia di vita. Storia di umanità ferita ma incamminata. Felix culpa che gli ha permesso di conoscere a fondo il cuore del Padre, grazie alla nostalgia di casa che aveva dentro. Quante volte i ribelli in realtà sono solo dei richiedenti amore.
Se ne va, un giorno, il giovane, in cerca di felicità. Se ne va con la sua parte di eredità, di identità, di “vita” che crede di trovare nelle cose. E il padre lo lascia andare anche se teme che si farà male: lui ama la libertà dei figli, la provoca, la festeggia, la patisce. Un uomo saggio. Infatti il ragazzo troverà solo una riduzione di umanità, logica conseguenza di ogni peccato: il libero ribelle è diventato il servo che contende le ghiande ai porci. Eppure nell'ultimo fallimento gli rimane un santuario di nobiltà: «Allora rientrò in se stesso», convertendosi a sé più che al padre. Come lo sherpa che mentre scalava l’Everest si fermò, per aspettare la sua anima che aveva capito essere rimasta indietro.
Non più ghiande, ma la manna di Dio riservata ai cercatori di senso, erranti nei deserti del mondo.
Un figlio che però non torna per amore, ma per fame, perché la morte ormai gli cammina a fianco. Cerca un buon padrone, non osa più cercare un padre. Cercava vita, troverà Dio.
Si era preparato delle scuse, il ragazzo, continuando a non capire suo padre, che lo perdona non con un decreto, ma con un abbraccio, con una festa. Senza guardare indietro, ma creando un futuro nuovo. Non guardate al passato, scegliete la speranza (Seneca).
Un padre che non sa che farsene delle scuse, le nostre ridicole scuse, padre che non vede peccati, ma solo il suo ragazzo rovinato dalla fame. E non si accontenta di sfamarlo, vuole una festa con il meglio che c'è, vuole reintegrarlo in tutta la sua dignità perduta, perfino l’anello con il sigillo della famiglia.
E non ci sono rimproveri, rimorsi, rimpianti.
Al padre felice manca però qualcosa: esce a pregare il figlio maggiore, alle prese con un tormento nato da un cuore malato.
Io ho sempre ubbidito a tutti i tuoi comandi, e a me nemmeno un capretto!
È l'uomo dei rimpianti, onesto e infelice, senza gioia di vivere: non ama quello che fa, lo subisce, e il cuore è assente. Quanti cristiani sono onesti e infelici, i «cristiani del capretto» (Turoldo): sono stato bravo, cosa me ne verrà in cambio? Vivono da salariati e non da figli. Ma l'amore non si misura su un capretto, e il padre tenta di spiegarlo, di farsi capire. “Non c'è nessun capretto, c'è molto di più! Tutto ciò che è mio è tuo”.
Alla fine non si sa se ci sia riuscito, ma non è importante. Il messaggio che Gesù ci ha regalato quel giorno, tra peccatori e farisei, è che Dio è padre solo se ha dei figli che si scoprono vivi.
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