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L'ulivo, nido della quercia

Data: 23-04-2021, in Commenti al Vangelo

Domenica 25 aprile - p. Ermes Ronchi

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore (…)». Gv 10,11-18

L'ulivo, nido della quercia

Sì, mi importa di te, mi importa la tua vita, tu sei importante.

Lo ripete a ciascuno: mi importano i passeri del cielo, ma voi valete di più. Mi importano i gigli del campo, ma tu vali molto di più.

Ti ho contato i capelli in capo, e tutta la paura che porti nel cuore. Questa è la certezza: a Dio importa di me. A questo ci aggrappiamo, anche quando non capiamo, turbati per il suo silenzio.

Con la formula solen­ne delle rivelazioni, oggi Gesù afferma: Io sono il buon pastore, e per far­cene capire il senso, per cinque volte ripete il verbo offrire.

Ciò che il pastore offre è la vita, e non so immaginare migliore avventura: io sono vaso che accoglie vita, sono anfora che vuole riceverne sempre più.

Sono il pastore ‘bello’, specifica il testo greco, e la bellezza, il fascino del pastore sta nella sua passione per il fiorire della vita in tutte le sue forme.

Io do la vita: non significa per prima co­sa vado a morire, perché se il pastore muore le pecore sono abbandonate e il lupo vince, seminando disperazione e morte. Dare la vita qui è inteso nel senso che hanno ben compreso gli apostoli: della vite che dà linfa al tralcio (Giovanni); dell’ulivo inne­stato che trasmette potenza buona al ramo selvatico (Paolo); di uno che essendo l’autore della vita (Pietro) l’ha inventata e la scrive, sillaba per sillaba, sulle tavole di carne che siamo noi.

Io offro la mia vita significa: vi offro un’ energia di nascita dall'alto; offro germi di divinità, per farvi simili a me ( II lettura).

Un Dio compreso nel pastore che si impegna per le pecore; nella donna che offre il seno al piccolo; nell'acqua che dà vita alla steppa arida, del padre che si strugge nell’attesa del figlio lontano.  In un germoglio di quercia che miracolosamente trova casa nel grembo di un vecchio ulivo.

Come passeri abbiamo il ni­do nelle sue mani, mani impigliate nel folto della vita, mani forti contro i lupi, mani che proteggono la fiammella smorta, mani sugli occhi del cieco, mani che scrivono nella polvere e non scagliano pietre, mai, mani trafitte offerte a Tommaso.

Da quel­le mani di pastore nessuno mi rapirà mai.

Il pastore non può stare bene finché non sta bene ogni sua pecora. Il Dio dei cristiani non sta bene nei cieli, discende e si compromette. Il cristiano non può star bene finché non sta bene suo fratello.

E tutti, a nostra volta pastori di un minimo gregge, ripetiamo le parole di Gesù, ma in silenzio e con coraggio: tu mi importi, tu incontro d'oggi o compagno di una vita, tu sei importante per me. Ciascuno di noi può essere pastore forte e bello, combattivo e tenero, del gregge che ci è affidato: la famiglia, gli amici, compagni di strada che contano su di noi e di noi si fidano.

Ho imparato che per stare bene l'uomo deve dare, perché così fa Dio. "Dare vita" significa contagiare di amore, libertà e coraggio chi avvicino. Significa trasmettere gesti e parole che ardono e fanno vivere, accensioni del cuore che rendono più bella la fede, più affettuosa la vita.

Vai al commento pubblicato su Avvenire

Il Dio-pastore dona la vita anche a chi gliela toglie

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