La cura del Creato dalla Genesi alla Laudato si’

Data: 09-04-2021, in Casa dei Sentieri

La Genesi riporta due racconti della creazione

Il primo mette in evidenza l’amore di Dio per la varietà e la ricchezza della vita, un Dio attento a ciascuna erba, ciascun seme,  ciascun albero (Gen 1,29), innamorato dei dettagli (nel linguaggio contemporaneo si direbbe della bio-diversità).

Nel secondo racconto, il più antico, è detto che: il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a Oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato (Genesi 2,8). L’azione creatrice di Dio consiste nel piantare alberi, fiori, giardini. E nel mettere l’uomo in relazione con essi.

L’immagine delle origini è quella di un Dio giardiniere con le mani intrise di terra (adamà), per lavorarla, aprirla, farla morbida per i semi, rincalzarla attorno ai fiori e alle erbe. Un Dio contadino e ortolano, e poi vasaio che impasta la polvere del suolo e la modella, plasmandone l’uomo (adam). Noi siamo terra, unitamente alle eterne radici (D. M.Turoldo).

Il tema della cura del creato, adombrato nel primo racconto (“Siate fecondi, riempite la terra, soggiogatela, e regnate... su ogni essere vivente” (Gen 1,28),emerge in tutta la sua forza nel secondo: lo collocò in un giardino perché lo custodisse e lo coltivasse,   due verbi che inaugurano il filone della cura amorosa che ha il suo vertice in san Francesco.

Custodire, shamar

Il giardino va custodito perché ha dei nemici: il deserto attorno e il caos dentro, la sterilità e la violenza. Va custodito con la stessa cura richiesta per il fratello. “Il Signore disse a Caino: dov’è Abele, tuo fratello? Egli rispose: Non lo so.  Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gen4,9). Lo stesso verbo è impiegato dalla Bibbia per la cura del giardino e quella del fratello, la cura è una sola, espressa con lo stesso termine shamar.

Il capitolo due della Genesi (relazione uomo-giardino) e il capitolo quattro (relazione Caino-Abele) vanno letti insieme. Il prendersi cura della terra va insieme con il prendersi cura del fratello.

Quando non ti prendi cura, diventi fratricida, come Caino. Non si crea una zona neutrale, una terza via, ma l’indifferenza partorisce violenza. Quando non custodisci il fratello, tu ferisci la terra. Il male compiuto da Caino ha come prima conseguenza che la terra non è più feconda, non è più madre “ e quando lavorerai il suolo esso non ti darà più i suoi prodotti” (Gen 4,12). Il suolo è reso sterile dal sangue sparso. È impressionante l’unione, la coesione, la connessione che la bibbia stabilisce tra terra e Abele: muore Abele e muore la terra. Chi non si prende cura dei fratelli, fragili e poveri, non resta semplicemente al di fuori della storia, ma in qualche modo, direttamente o indirettamente, lascia morire la terra. E viceversa: se avveleni, sporchi e depredi la terra, se sprechi l’acqua e fai avanzare il deserto, tu uccidi o lasci morire il fratello. Il male fatto ad una creatura si ripercuote su tutte, mentre la cura di un solo filo della trama si ripercuote su tutto l’immenso arazzo dell’essere.

La bibbia è infinita anche per questa sua capacità di tenere insieme la terra e il fratello, la fraternità cosmica e la fraternità umana (L. Bruni). Infatti una delle grandi intuizioni della Laudato si’  è tenere insieme il grido dei poveri e il grido della terra, connessi in un unico gemito.

Coltivare, abad

Coltivazione, cultura, culto hanno la stessa radice verbale: abad, coltivare, il cui senso è  anche servire. Il primo culto a Dio non nasce al tempio, ma nel giardino: coltivarne le creature è collaborare con il Creatore, rendergli il primo servizio.

Coltivare il giardino ha l’obiettivo di far fiorire la vita in tutte le sue forme e di farla fruttificare. Ci chiama ad abbandonare il vecchio paradigma morale di colpa/castigo/ e a sostituirlo con quello della pienezza, della piena, felice fioritura dell’essere. Il termine dipinge il paesaggio di una alleanza iniziale, che è poi rinnovata  dopo il diluvio sotto il segno cosmico dell’arcobaleno; che giunge ad Abramo con il contenuto stesso della promessa: figli come stelle e una terra di latte e miele; sognata dal popolo schiavo in Egitto, dipinta dai profeti con l’immagine di bambini che giocano sul nido delle vipere; giunta fino a Gesù: sono venuto perché abbiate la vita, e l’abbiate in abbondanza (Gv 10,10). Come lui, ogni figlio di Adamo ha la stessa vocazione: essere nella vita donatore di vita. Infatti “ogni azione e ogni pensiero, se sono di vita, sono di Dio. Se non sono di vita sono atei” (Karl Barth).

Prendersi cura della fragilità delle creature, delle acque, dell’aria, del suolo, che sono i fratelli minori e le sorelle fragili dell’uomo, è uno dei compiti del cristiano ‘in uscita’(Ev Ga 209), che si identifica, come Gesù, con i più piccoli (Mt 25,40): ogni cosa che avete fatto ad una di queste creature più piccole è a me che l’avete fatta.

Una ricognizione veloce può solo sfiorare il tema della cura del Creato nella Bibbia, nella legislazione mosaica, nei salmi, nei profeti, nel vangelo:

  • se vedi l’asino di tuo fratello o il suo bue caduto lungo la strada, non fingerai di non averli scorti...quando troverai un nido di uccelli con uccellini o uova e la madre che sta covando, non prenderai la madre che è con i figli (Dt 22,4.6). 
  • Così il riposo del sabato è un tempo in cui possano riposare e godere quiete anche il tuo bue e il tuo asino (Es 23,12).
  • Il salmista convoca spesso tutta l’immensa orchestra del creato per dare lode a Dio, in un grido d’alleanza cosmica (Sl 29, 104, 147, 148...).
  • Nei vangeli Dio si prende cura dei passeri e veste i gigli del campo.

Nella storia del cristianesimo il passaggio dal paradigma del dominio (dominate e soggiogate)  a quello della parentela (coltivate e custodite) , dalla prima alla seconda narrazione delle origini, ha comportato un lungo lavoro, sorretto in particolare dal filone monastico:

  • san Benedetto riassume in estrema sintesi la vita del monaco: ora et labora, o secondo altre versioni, ora et ara. Una endiadi, che unisce – come in origine- il culto di Dio e la coltivazione della terra. Nella stessa logica chiede ai monaci di avere per gli attrezzi dell’orto la stessa cura che per i vasi sacri della liturgia.
  • San Bernardo ha guidato i cistercensi alla scuola del creato, per attingervi la sapienza del vivere: “gli alberi e le rocce vi insegneranno cose che non potreste mai imparare sui libri”.
  • San Francesco nella sua preghiera estatica convoca tutte le creature dentro una dimensione affettiva, tutti connessi come fratelli e sorelle di un’unica famiglia, dove la terra è “la madre bella che ci accoglie tra le sue braccia” (L.s. 1).
  • Sorella Maria di Campello diceva alle sue monache: “non mi stancherò mai di dirvi che considero un dovere sacro quello di uscire all’aperto e di contemplare la bellezza che ci attornia e di salutare tutti i luoghi amati e tutte le creature”. Un dovere sacro, un culto da rendere a Dio attraverso il creato. Per diventare così custodi dell’eterno nel tempo.

La grande imputata

Secondo una visione molto diffusa tra gli ecologisti, la Bibbia avrebbe una grave responsabilità nella nostra storia secolare di delitti contro la natura. Il pensiero ecologico ha messo in discussione i miti fondatori della moderna cultura occidentale, a partire dal racconto biblico della creazione.

La sintesi del pensiero ecologico è questa:

In molte società pagane, la Terra era vista come una Madre, una fertile donatrice di vita. La natura – gli astri, il suolo, le foreste, i mari – aveva un carattere divino, e i mortali le erano subordinati. La tradizione ebraico-cristiana ha introdotto una concezione radicalmente diversa: la Terra era la creazione del Dio del monoteismo, che, dopo averla plasmata, ha ordinato ai suoi abitanti di dominare e soggiogare la terra e poi ripete lo stesso comando a Noè dopo il diluvio. La specie umana viene investita di un potere assoluto nei confronti del creato, a somiglianza del potere di Dio. Forte di questo mandato e della somiglianza con il suo Creatore, l’uomo si separa dalla natura, non riconoscendo più le comuni origini.

Questa narrazione ha plasmato la relazione uomo-terra a partire da Bacone, dando all’uomo il diritto di abusare della terra come fosse materia o una macchina inanimata.

Di conseguenza il pensiero ecologico si è orientato prevalentemente verso altre forme di spiritualità, «credenze orientali sull’interconnessione di tutte le forme di vita, e le cosmologie dei nativi americani» (Naomi Klein).

L’accusa è molto grave e bisogna prenderla con serietà.

La Bibbia condotta al banco degli imputati, interrogata, deve rispondere.

Si può tornare a leggere la Scrittura andando alla ricerca di narrazioni diverse, che possano modellare una nuova storia, tutta da inventare?

La Laudato si’ risponde a questa sfida.

Papa Francesco parte dalle considerazioni sulla questione ecologica dei suoi predecessori, offrendo una narrazione sistematica e generativa, fondata sul Dio di Gesù, il “Dio capovolto”, per il quale potere è servire. Il Dio amore, che si prende cura di ogni passero e di ogni giglio.

Se nel magistero di Paolo VI il problema ambientale aveva fatto la sua comparsa in modo ancora marginale (cfr. Discorso alla FAO,16/11/1970 e Lett. Ap. Octogesima adveniens, 1971), esso assume maggiore rilievo con Giovanni Paolo II che ne tratta in diversi documenti, collegando il problema ecologico a quello sociale, fino a formulare l’invito «ad una conversione ecologica globale (Catechesi, 17/1/2001, 4: Insegnamenti, 24/1, 2001, 179), cioè a una revisione profonda «di stili di vita, modelli di produzione e di consumo, delle strutture consolidate di potere che oggi reggono le società» (Enciclica Centesimus annus, 1991, 58). 

Papa Benedetto è tornato sull’argomento, ricordando, in particolare, che l’uomo deve riconoscersi come parte della natura: «Egli è spirito e volontà, ma è anche natura» (Discorso al Deutscher Bundestag, Berlino, 22/9/2011).

La Laudato si’ non nasce quindi dal nulla ma è un documento che nel solco della tradizione francescana e del magistero recente rappresenta uno dei momenti di svolta più importanti nella storia della chiesa e dell'umanità. La svolta di Francesco è la scelta di dedicare un’intera enciclica alla «cura della casa comune». La Laudato si’, non è, come il papa stesso ha più volte sottolineato, un’enciclica “verde” ma è a tutti gli effetti un’enciclica sociale.

È la chiesa che prende pienamente coscienza di una crisi gravissima e comprende che non si tratta di un problema tra i tanti ma del problema dei problemi, perché strettamente collegato a tutti gli altri mali di cui soffre il nostro tempo. Nella Laudato si’ si trova la denuncia di un intero sistema economico-culturale che ha causato danni enormi, e forse irreversibili, e richiede perciò un vero e proprio cambio di paradigma. Assi portanti dell’enciclica, come Francesco stesso li definisce, sono alcune idee di fondo, tra le quali particolarmente rilevanti sono: «l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso» (LS 16).

La Laudato si’ è anche un'enciclica che costruisce relazioni e pace: Francesco si pone in una posizione di ascolto e dialogo, sa fare spazio alle voci altrui, grandissima e invidiabile dote. Accoglie con ampiezza, e con una libertà che è una boccata d’aria fresca, le parole e il punto di vista del patriarca ortodosso Bartolomeo, cita Tommaso d'Aquino e san Bonaventura accanto al mistico islamico sufi Ali Al-Khawwas, che definisce «maestro spirituale», e poi documenti importanti come la Carta della terra e il Documento di Aparecida, le voci delle chiese di tutti i continenti, dalla Nuova Zelanda alla Patagonia, dal Messico al Sudafrica alle Filippine…

Un papa che viene dall'altra parte del mondo ci insegna  a non essere eurocentrici, a capire che davanti alle questioni urgenti del nostro tempo dobbiamo aprirci a nuove e diverse visioni.

Un’enciclica che non solo dialoga con tutti ma che chiede la collaborazione di tutti. Arroccarsi dietro gli steccati davanti a una crisi tanto complessa e di portata epocale non ha alcun senso: «le soluzioni non possono venire da un unico modo di interpretare e trasformare la realtà». Tutti i popoli, con le loro diverse ricchezze culturali e spirituali devono dare il loro contributo, e così la poesia e l’arte accanto alla scienza, la filosofia e le scienze umane accanto alla religione (LS 63).

Davanti non abbiamo solo un futuro catastrofico da evitare ma cammini di liberazione da aprire (LS 64). Una grande opera alla quale tutti possiamo e dobbiamo partecipare per guarire le ferite ambientali e sociali. Collaborando a questo cantiere globale insieme agli altri, i più prossimi e i più lontani, creando legami comunitari per la custodia del creato, curiamo anche noi stessi.

Ed è per questo che Francesco, in un’enciclica che offre una fotografia impietosa della realtà mondiale attuale, osa la parola felicità, che oggi, tempo delle passioni tristi, sembra fuori moda. Immaginando «un altro tipo di progresso, più sano, più umano» e provando uno stile di vita diverso, si può incontrare la felicità. È qualcosa che già oggi c’è, ma è quasi impercettibile, scrive Francesco, paragonandola alla nebbia che filtra sotto una porta chiusa. O a un fiore che sboccerà, una promessa permanente, una ostinata resistenza di ciò che è autentico (LS 112).

Ermes Ronchi - Marina Marcolini